Banchi nuovi, Palazzo Penne e Piazza Teodoro Monticelli

Palazzo Penne

Un’atmosfera affascinante, non meno di quella del centro antico e dei suoi decumani, ma forse più autentica perché non affollata da turisti, è quella che si respira passeggiando tra i vicoli e i larghi ubicati tra Via Donnalbina, Piazza Santa Maria la Nova e la zona dei Banchi nuovi, a ridosso di Via Mezzocannone. Ogni angolo di quest’area, le facciate dei palazzi, i vicoletti stretti, le piazzette, nate come pertinenze delle numerose fabbriche religiose che qui insistono, oggi frequentate dagli studenti della vicina Università l’Orientale, raccontano un tempo sospeso tra Medioevo e Rinascimento, in cui non mancano elementi cospicui di gusto ed epoca barocca, prevalentemente nelle chiese che costellano la zona, o che riportano all’età borbonica, di cui rara e suggestiva testimonianza è il banno del luglio del 1773, affisso sulla facciata curva del palazzo Palmarice, in piazza Teodoro Monticelli. Uno spaccato di vita di fine XVIII secolo, la lapide riporta il divieto “di occupare, impedire, imbrattare nè alli sediari tenervi le sedie avanti il largo della Casa Palaziata dell’illustre principe di Palmerici, sito in questa città di Napoli, per essere comune detto largo tra esso illustre principe ed il venerabile collegio di S. Demetrio della congregazione sommasca, come consta dagli atti, sotto pena della di loro carcerazione nel caso di controvenzione al presente banno.’

In origine tutta l’area, che si trovava all’interno delle mura della città ducale, il Regio Albinensis, si sviluppava intorno a grandi insule conventuali. Quelle di Santa Maria La Nova, Donnalbina, San Demetrio e Santa Chiara erano vere e proprie cittadelle per conformazione ed estensione. Le aree ad esse circostanti, prevalentemente occupate da orti e giardini, andarono via via urbanizzandosi e assumendo una connotazione sempre più commerciale. In questa zona si trasferirono i “banchi nuovi“. Si legge nel Celano che intorno alla metà del 500, precisamente nel 1547, la loggia dei mercanti, fino a quel momento ubicata nella Piazza dell’Olmo, corrispondente all’attuale Via de Gasperi, fu rasa al suolo dai cannoni del viceré don Pedro di Toledo. Tutti i commercianti che lì avevano i loro banchi furono costretti a trovare una nuova allocazione.

Quando ci fu la terribile alluvione del 1569 nell’area corrispondente all’attuale piazza dei Banchi Nuovi, la furia impazzita dell’acqua spazzò via le costruzioni esistenti

e il suolo “delle case ruinate” fu acquistato dai mercanti per edificarvi i loro banchi e per tenere il mercato che qui si svolgeva in due giorni della settimana.

La vicinanza al mare che arrivava all’attuale Via Sedile di Porto, la bellissima veduta che si godeva dalla zona, posizionata sul ciglio di un salto di quota che degradava rapidamente verso la linea di costa, favorì anche gli insediamenti delle famiglie nobili della città che ivi edificarono le loro deliziosissime residenze in mezzo ad orti, giardini e conventi.

Attraverso il Pendino Santa Barbara, la strettissima pedamentina che saliva dal mare, ambientazione della famosa scena del lancio dei mobili dai balconi nelle “Quattro giornate di Napoli” di Nanni Loy, nonché di uno degli episodi del romanzoLa pelle“, quello delle nane, di Curzio Malaparte, si giunge, attraverso un suggestivo supportico, alla Piazza Teodoro Monticelli.

Luogo di storie e di leggende, di sacro e profano, di fede e di magia, di uomini di chiesa e di mercanti, di famiglie nobili e di femmine “disgraziate”, quelle che gettavano pattume dalle finestre sulle “gradelle Santa Barbara“, raccontate da Matilde Serao ne “Il ventre di Napoli“.

Di fronte al banno di Ferdinando IV di Borbone affisso al portale del Palazzo Palmarice, si erge il Palazzo Penne, risalente al 1406, noto come il palazzo costruito dal diavolo. Sulla facciata ricoperta da bugne in piperno, decorate alternativamente con i gigli angioini e la piuma, simbolo araldico della famiglia Penne, fa da archivolto al portone ad arco ribassato, di ispirazione catalana, una fettuccia di marmo, scolpita in bassorilievo, dove si leggono i versi di Marziale «QUI DUCIS VULTUS NEC ASPICIS ISTA LIBENTER OMNIBUS INVIDEAS INVIDE NEMO TIBI», tu che giri la testa, o invidioso, e non guardi volentieri questo (palazzo), possa di tutti essere invidioso, nessuno (lo è) di te.

Straordinario esempio di architettura rinascimentale a Napoli, il palazzo è il protagonista di una antica leggenda. Si dice che il suo proprietario Antonio De Penna (o Penne), segretario del re Ladislao di Durazzo, si fosse innamorato perdutamente di una donna che lo avrebbe sposato solo se egli fosse stato capace di costruire un palazzo in una sola notte. L’impresa poteva realizzarsi solo affidandosi ad entità sovrannaturali e Il Penne strinse un patto con il Diavolo: la propria anima in cambio della costruzione del palazzo, ma a condizione che il diavolo stesso fosse riuscito a contare i chicchi di grano sparsi nel cortile dall’uomo. Affinché il conteggio risultasse sbagliato, il Penne aggiunse al grano della pece, così che il Diavolo, raggirato dal funzionario, fallì per uno scarto di pochi chicchi e precipitò in una voragine al centro del palazzo, un pozzo che pare sia ancora visibile nel cortile interno.

Alla morte di Antonio Penne, dopo vari passaggi di proprietà, il palazzo fu acquisito dall’ordine dei padri somaschi della vicina Chiesa di San Demetrio e Bonifacio e, ai primi dell’Ottocento, quando furono soppressi gli ordini religiosi, dall’abate Teodoro Monticelli, studioso di geologia e vulcanologia che vi istituì un museo mineralogico e una biblioteca.

Dopo che si sono chiuse con assoluzione piena le varie vicissitudini di rilevanza penale che hanno riguardato il palazzo e il suo stato di grave degrado, un degrado inaccettabile contro cui si sono levate le voci di Alda Croce e Marta Herling, figlia e nipote di Benedetto Croce e l’accorato appello dell’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel 2021 si è riaccesa una luce su Palazzo Penne. Un progetto di riqualificazione e rifunzionalizzazione dell’immobile e del suo giardino interno, come “Casa dell’Architettura“, polo culturale dedicato all’architettura e al design urbano, luogo di studio e ricerca, ma anche spazio espositivo aperto al quartiere, costruito intorno al tema dell’accessibilità e della riqualificazione del territorio. Da un articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno del 13 maggio 2023, si legge di un appello al Governatore De Luca per il reperimento di un alloggio per l’ultima abitante del palazzo storico, Jolanda Somma, “in vista dell’avvio dei lavori di restauro del palazzo”.

Oggetto dell’intervento dovrebbe essere anche la storica banca dell’acqua di “Zi Nennella“, ritratta da Luciano De Crescenzo in “La Napoli di Bellavista“, un’istituzione a Napoli che si trovava proprio davanti al Palazzo Penne, oggi ricoperta da una fatiscente e degradata struttura in ferro. Un’altra memoria storica da recuperare perché torni ad essere quel che è stato, cuore pulsante della cultura partenopea.

Chiesa dell’Ecce Homo ai Banchi Nuovi

Scritto da:

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Marialaura D'amore

Laureata in giurisprudenza, lavora nel settore pubblico e nutre un grande amore per l’arte, la storia, le architetture, i musei e i panorami di Napoli, che fotografa nelle sue passeggiate.

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