Basilica di San Giovanni Maggiore

Basilica di San Giovanni Maggiore

Due ingressi, quello laterale sul largo San Giovanni Maggiore dove ha sede, nel palazzo Giusso, l’Università L’Orientale, quello principale dalle rampe che si sviluppano in una traversa di Via Mezzocannone. Da qui parte l’affascinante percorso in una delle testimonianze più eloquenti di stratificazione architettonica, artistica e storica a Napoli. L’immensa Chiesa di San Giovanni Maggiore è stata edificata dove sorgeva il tempio che l’imperatore Adriano volle dedicare all’amatissimo e prematuramente scomparso Antinoo, sulla cima di quello che all’epoca doveva essere un promontorio affacciato sul mare. Nel IV secolo d.C, scampato insieme alla figlia Costanza ad un terribile naufragio nel mare di Sicilia, si racconta che Costantino volle erigere proprio qui la chiesa dedicata a S. Giovanni Battista e a S. Lucia. L’iscrizione rinvenuta su un architrave consente di datare la sua edificazione al 324 d. C. Inserita fra le quattro chiese cardinali della città, fondate fra il IV ed il VI secolo d. C., insieme a San Giorgio Maggiore, i Santissimi Apostoli e Santa Maria Maggiore di Pietrasanta, la basilica di San Giovanni Maggiore ha vissuto molte vite ed è stata, prima del Duomo di Napoli, la più grande Chiesa diocesana di Napoli. Qui fu incoronato nel 1296 Roberto I d’Angiò, quando il Duomo non era ancora stato ultimato. Della sua lunghissima storia, fortunatamente, conserva tracce importanti che danno evidenza del suo travagliato resistere, non solo ad eventi naturali – che più di una volta ne hanno determinato la rovina ed il restauro nel corso dei secoli – ma anche a molteplici atti “vandalici” che hanno visto trafugare parte del suo patrimonio storico-artistico, oltre alle numerose, importanti, reliquie che si racconta vi fossero custodite.

Nel 1870, dopo il crollo del tetto, il Comune di Napoli decise di radere al suolo la Chiesa per realizzare una grande piazza. La demolizione fu scongiurata dai fedeli e dalle famiglie nobili della zona, che sotto la guida del canonico Giuseppe Pelella, ricordato con una lapide lungo la navata destra, raccolsero il denaro necessario alla messa in sicurezza del complesso. Ulteriori cedimenti e il terremoto del 1980 ne determinarono la chiusura che si è protratta per oltre quarant’anni. In questo arco temporale lo stato di abbandono ha prestato il fianco ai ripetuti, devastanti saccheggi delle opere d’arte che vi erano custodite. L’intervento della Sopraintendenza e l’iniziativa della Fondazione Ordine degli Ingegneri di Napoli, nel 2012, hanno restituito alla città la basilica di San Giovanni Maggiore in tutto il suo splendore, nella sua complessa architettura, un palinsesto ricco di storia, di testimonianze archeologiche e artistiche, unico a Napoli.

Dalla navata centrale lo sguardo è rapito dalle cupole, frutto del genio creativo di Dioniso Lazzari. A questi fu affidato a partire dal 1656 il progetto generale di trasformazione della Chiesa in chiave barocca, una trasformazione che lasciò ben poco di quello che era il tempio originario. Ma di trasformazioni, ampliamenti e restauri la Basilica di San Giovanni Maggiore ne ha visti tanti che hanno riguardato l’impianto stesso della basilica, ricostruita sui resti dell’architettura pagana dal vescovo Vincenzo nel VI secolo, in epoca bizantina, le sue cappelle, che si aprono sulle navate laterali, di edificazione angioina, l’intero apparato decorativo con i suoi imponenti altari, le sculture, i dipinti, gli affreschi, espressioni artistiche che si collocano tra il 600 e l’800.

Le sue antichissime origini sono rivelate dalle alte colonne in marmo cipollino sormontate da capitelli corinzi che le fissano ai pilastri dell’abside. Qui, dietro l’altare maggiore realizzato nel 1743 da Domenico Antonio Vaccaro, la traccia dell’antica costruzione paleocristiana ricoperta e nascosta nel Seicento da un coro ligneo barocco e riscoperta solo nel 1978, nel corso di lavori di restauro.

Un punto di osservazione privilegiato quello dell’abside, dove le diverse quote pavimentali con frammenti anche dell’antico pavimento bizantino a tessere di marmo, dà la misura della stratificazione di epoche che questo straordinario sito ha attraversato. Al centro della coppia di archi visibili sulla pietra nuda dell’abside, si trovano incassate due colonne scanalate in marmo bianco dell’antico tempio pagano, risalenti alla metà del II secolo d.C.

Non di rado accade a Napoli che sacro e profano, religione e superstizione trovino una strana, ma in qualche modo equilibrata composizione. Una “promiscuità” che diventa ancora più affascinante ed ardita se alberga in un tempio cristiano. All’ingresso dello stupendo Oratorio della Confraternita dei LXVI Sacerdoti, adornato di affreschi e ori di gusto tardo barocco, nel Cappellone del Crocifisso, una lapide di marmo con scritte in piombo, risalente all’XI secolo, recita: “+OMNIGENUMREXALTOR

SCS + IAN PARTHENOPEM TEGE FAUSTE”

“CREATORE DI TUTTE LE COSE ALTISSIMO PROTEGGI FELICEMENTE PARTENOPE”.

Un’invocazione a Dio, a San Gennaro o San Giovanni (la scritta IAN si presterebbe ad entrambe le interpretazioni), affinché protegga Partenope. In questa chiesa, secondo la tesi più accreditata tra le tante elaborate nei secoli, sarebbe custodita la tomba della sirena. Si racconta che la gente venisse in San Giovanni Maggiore per pregare Dio, ma anche per venerare Partenope.

A ristabilire l’ordine stravolto dalla confusione tra fede e mito, sotto quella di Parthenope, fu apposta nel 1689 un’altra lapide dove si legge: “Questo antico sasso se fu, come si crede, un sepolcro, non custodisce Partenope ma è una superstizione”. Un monito che smentiva l’antica credenza ma che, nello stesso tempo, non disponendo la rimozione della lapide che lo sormonta, le confermava in qualche modo dignità. Un po’ come dire: “non è vero, ma ci credo”.E il filo che congiunge questo luogo di fede al culto millenario e misterioso di Partenope, a cui il popolo napoletano è visceralmente legato, è perpetuato, accanto alle due lapidi, dalla scultura adagiata in un abitacolo protetto da due porticine di legno che si aprono solo durante la visita. Opera di Lello Esposito, realizzata nel 2022 e donata alla chiesa, su invito del parroco Salvatore Giuliano e con autorizzazione del Cardinale.

Che sia o meno esistita la Sirena Partenope, poco importa. È nella cultura di Napoli, come scriveva Matilde Serao in “Leggende napoletaneParthenope non ha tomba, vive, splendida, giovane e bella, da cinquemila anni; corre sui poggi, sulla spiaggia. E’ lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori, è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene”.

Sotto la sacrestia e l’oratorio della Congrega dei LXVI Sacerdoti, attraverso una stretta e bassa scala si accede agli ipogei adibiti alla sepoltura degli affiliati alla congrega.

Ma sotto tutta la superficie della chiesa di San Giovanni maggiore c’è un immenso ipogeo, la terra santa, il luogo di purificazione delle anime nel loro viaggio verso l’eternità.

L’esplorazione della Chiesa, delle sue cappelle, degli ambienti sottostanti è accompagnata magistralmente dai volontari dell’Associazione Artenhope, che con descrizioni dettagliate, ricche di annotazioni storiche, artistiche e di avvincenti racconti e aneddoti, rendono la visita un viaggio nella conoscenza, alla scoperta di memorie, leggende ed epoche che celebrano la grandezza di Napoli e della sua storia millenaria. Risaliti in superficie e varcato il portale che lateralmente si apre sul largo San Giovanni Maggiore, ancora un po’ frastornati da così tante straordinarie immagini, lo sguardo è avvinto dal portale gotico della chiesetta attigua a San Giovanni Maggiore. È la Cappella Pappacoda, mirabile testimonianza di gotico durazzesco, ultima tappa della visita guidata. Dopo decenni di abbandono, grazie alla tenacia e all’intraprendente determinazione del parroco di San Giovanni, Don Salvatore Giuliano, supportato da una rete di associazioni e volontari, si è avviato il recupero della Cappella Pappacoda, gioiello di incommensurabile valore storico e artistico, oggi restituito alla fruizione collettiva. Il sorriso di Don Salvatore davanti a quel portale dà inizio ad un nuovo viaggio che merita di essere presto raccontato.

Scritto da:

Picture of Marialaura D'amore

Marialaura D'amore

Laureata in giurisprudenza, lavora nel settore pubblico e nutre un grande amore per l’arte, la storia, le architetture, i musei e i panorami di Napoli, che fotografa nelle sue passeggiate.

Condividi su:

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
WhatsApp

Iscriviti alla nostra newsletter e ricevi gli ultimi articoli pubblicati; potrai cancellare la tua iscrizione in qualsiasi momento.

Non puoi copiare il contenuto di questa pagina

Ricevi gli aggiornamenti in tempo reale!

Iscriviti alla nostra newsletter e ricevi gli ultimi articoli pubblicati.

Potrai cancellare la tua iscrizione in qualsiasi momento.