Chiesa di San Giovanni a mare

Un ingresso insolito per una Chiesa, qualche metro sottoposto rispetto al piano stradale. Poco lontano da Piazza Mercato e dalla piazzetta degli Orefici, inglobata tra gli edifici circostanti, tanto da non sembrare all’esterno neppure una chiesa, quella di S. Giovanni a mare, sull’omonima via, è una preziosa testimonianza di architettura romanica a Napoli. Risale al XII secolo, epoca in cui, fuori delle mura della città e lambita dal mare, da cui la sua intitolazione, la chiesa benedettina era annessa all’ospedale dei Cavalieri dell’ordine degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme.

La Chiesa è dedicata a S. Giovanni Battista, di cui pare abbia custodito le reliquie, prima che esse fossero trasferite a S.Gregorio Armeno.

Un santo cui la popolazione napoletana è sempre stata legata profondamente, tanto da rappresentare uno dei protettori della città. Si festeggia il 24 giugno, che per la storia di Napoli non è un giorno qualsiasi. Le cronache raccontano che nella notte tra il 23 e il 24 giugno, la notte più breve dell’anno, veniva celebrata a Napoli una grande festa in onore di San Giovanni. Il momento culminante del solenne festeggiamento era il rito che prevedeva che uomini e donne, nudi, si immergessero nelle acque del mare, distante solo pochi metri dalla Chiesa. Una sorta di cerimonia battesimale purificatrice, dove alla simbologia dell’acqua che emenda dal peccato si andavano sovrapponendosi pratiche di matrice pagana e orgiastica. La contaminazione di elementi religiosi e magici, di sacro e profano, era ricorrente in molte usanze, che pure erano osservate nel giorno di San Giovanni e non solo a Napoli: dalla raccolta dell’hypericum, più conosciuto appunto come erba di San Giovanni, cui si associava il potere di proteggere dagli spiriti maligni e dalla mala sorte, ai rituali per allonatare le “Janare” che popolano racconti e leggende ambientate proprio nella notte tra il 23 e il 24 giugno.

Molto conosciuta a Napoli è la leggenda secondo cui la rugiada raccolta nella notte di San Giovanni venisse utilizzata, per il rituale magico dello scioglimento del “Chiummo“, il piombo di San Giovanni: la “molibdomanzia“, dal greco μόλυβδος, piombo e μαντεία, una pratica divinatoria che si fondava sulla interpretazione delle figure scaturenti dalla unione del metallo fuso con l’acqua. Le ragazze in età da marito facevano fondere un pezzetto di piombo e lo lasciavano indurire in un recipiente di acqua fino all’alba del 24 giugno, quando, dalla forma che ne sarebbe risultata, avrebbero potuto trarre indicazioni sul mestiere del loro futuro marito. Poco aveva a che fare con San Giovanni e con la fede religiosa anche la pratica delle ragazze di offrire nel giorno della festa una piantina di orzo all’ uomo desiderato. Se questi ricambiava il sentimento, lo avrebbe manifestato attraverso un dono. Si racconta che la passione tra Lucrezia d’Alagno e Alfonso di Aragona fosse nata proprio durante la festa di San Giovanni. All’offerta della piantina che Lucrezia fece al re – che nel corteo diretto a San Giovanni a mare passeggiava camuffato da mercante – questi ricambio’ donando alla fanciulla un sacchetto pieno di monete d’oro, gli alfonsini. Ma Lucrezia trattenne una sola delle monete, perché di Alfonso gliene bastava uno solo, quello in carne ed ossa.

In epoca vicereale i rituali pagani che si celebravano a San Giovanni furono banditi e la stessa chiesa di S.Giovanni a Mare che ne era stata teatro fu soppressa.

Più volte restaurata nel corso dei secoli, gli interventi che si sono succeduti e che hanno riguardato tutta la zona, soprattutto con il “Risanamento”, unitamente ai mutamenti geomorfologici che nel tempo hanno interessato il territorio costiero napoletano, restituiscono la Chiesa di San Giovanni totalmente mimetizzata nel suo aspetto esterno tra le costruzioni che via via sono state elevate attorno.

Diversamente l’interno, oggetto di un complesso restauro conservativo, pur nella stratificazione di stili e rimaneggiamenti che si sono susseguiti, conserva intatta l’originaria veste medioevale.

A testimoniare che il sito dove sorge la Chiesa è uno straordinario serbatoio di storia millenaria, oltre che di leggende e tradizioni, nel piccolo atrio da cui si accede alla chiesa, è posizionata la scultura di una testa femminile che evoca una divinità ellenistica. È quella che la tradizione popolare ha battezzato “Donna Marianna a’ cap’ e Napule“. Si tratta della copia della testa ritrovata nel 1594 nei pressi dell’Anticaglia, di cui l’originale è oggi nella sede del Comune di Napoli a Palazzo San Giacomo. Una collocazione emblematica del significato e dell’importanza che essa rappresenta per la storia di Napoli. Carlo Celano in “Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli” identifica l’antica testa femminile nella sirena Parthenope. Durante la rivolta guidata da Masaniello, la testa, che era all’epoca alloggiata nelle vicinanze della Chiesa di S. Eligio, fu privata del naso, poi rozzamente restaurato intorno alla metà dell’800, quando essa si trovava di fronte alla Chiesa di Santa Maria dell’Avvocata, accanto al busto di Sant’Anna. Fu proprio da questa collocazione e dalla unione del culto di Santa Maria e di Sant’Anna che, secondo alcuni, ha avuto origine il nome con il quale la testa viene tuttora riconosciuta: “Donna Marianna”. Altre fonti riconducono tale nome al periodo della rivoluzione del 1799, ad evocare la Marianne della repubblica francese, emblema di speranza, di lotta e di libertà. Il suo pellegrinaggio nella città di Napoli non terminò qui, perché, gravemente danneggiata durante la seconda guerra mondiale, fu ancora una volta trasferita nel Museo Filangieri, prima di trovare definitiva collocazione nell’edificio del Comune.

Studi effettuati sul reperto avrebbero ricondotto la figura alla dea della bellezza, Afrodite, di cui doveva essere presente la scultura in un tempio della Neapolis romana.

A tutt’oggi ricorrente è l’espressione dialettale: “me pare donna Marianna a cap e Napule“, per qualificare scherzosamente chi ha la testa un po’ più grande del normale.

San Giovanni a mare è una tappa imperdibile nella Napoli medievale, un osservatorio prezioso e raro sull’architettura dell’epoca, uno scrigno di storie e leggende napoletane.

Scritto da:

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Marialaura D'amore

Laureata in giurisprudenza, lavora nel settore pubblico e nutre un grande amore per l’arte, la storia, le architetture, i musei e i panorami di Napoli, che fotografa nelle sue passeggiate.

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