Complesso monumentale di S. Anna dei Lombardi

Un luogo dove lo stupore della bellezza fa riflettere su quanto grande sia l’uomo quando riesce a creare con le sue mani capolavori di così straordinaria potenza. Nel complesso monumentale di S. Anna dei Lombardi a Piazza Monteoliveto, l’arte, in tutte le sue declinazioni, raggiunge vette altissime. Qui si palesa agli occhi una delle testimonianze più vivide e possenti del rinascimento a Napoli. Un’epoca, soprattutto a partire dagli aragonesi, che vede stringersi forti legami con la Toscana, relazioni politiche fondate sull’alleanza tra la corona aragonese e Lorenzo il Magnifico, ma anche economiche e commerciali, perché a Napoli fanno capolino le più importanti famiglie fiorentine, prima tra tutti quella degli Strozzi, dedite all’attività bancaria. E la Chiesa di “Monteoliveto” diventa cantiere dove fanno ingresso diretto opere e maestranze soprattutto toscane, tra le quali Antonio Rossellino, Benedetto e Giuliano da Maiano, Giorgio Vasari. In origine, all’epoca della sua edificazione, sotto il re Ladislao di Durazzo, il complesso ricadeva in una zona fuori dalle mura della città, quella corrispondente all’attuale Via Monteoliveto, piazza Monteoliveto, Via S. Anna dei Lombardi, fino a Piazza Carità. Una vasta distesa di campi e giardini dove venne eretta nel 1411 la Chiesa intitolata a S. Maria di Monte Oliveto ed un annesso Monastero affidato all’ordine degli Olivetani, ramo dei Benedettini di origine senese. Una chiesa e un monastero che acquisirono rilievo pregnante in età aragonese, quando il Monastero ampliò ulteriormente la sua estensione territoriale, divenendo una cittadella vera e propria, dove giardini ed orti venivano coltivati dai monaci per il sostentamento della comunità e per la produzione di erbe medicinali, specialità in cui essi eccellevano. Fu centro della spiritualità della nobiltà napoletana, quella più influente: possedere nella Chiesa una cappella destinata alla sepoltura dei propri discendenti fu simbolo di elevazione sociale e di prestigio. Una struttura enorme che si articolava anche in quattro chiostri, attualmente separati dal Complesso e di pertinenza della caserma dei Carabinieri Pastrengo che vi si insediò nel 1860. Nel 1799, accusati di aver aderito agli ideali della Repubblica, gli Olivetani furono espulsi dal Monastero. Fu così che Ferdinando IV diede in concessione la Chiesa e l’intero complesso all’arciconfraternita dei Lombardi, la cui chiesa, quella di S. Anna, poco distante, costruita su progetto di Domenico Fontana, era stata gravemente danneggiata dal terremoto del 1805. Da questo momento il complesso acquisì la definitiva intitolazione a S. Anna dei Lombardi.

La visita del complesso è molto di più di una semplice “visita culturale“. E’ un’esperienza immersiva nel rinascimento e nelle sue più alte espressioni artistiche.

Il viaggio inizia dagli affreschi di Pedro de Rubiales che riportano all’antico testamento con le Storie di Giacobbe e Esaù che vende la primogenitura e di Giona e la Balena. Appena più avanti, la visione di un capolavoro assoluto della scultura rinascimentale risalente al 1492. Anche da solo, il Compianto sul Cristo morto di Guido Mazzoni, detto il Modanino, vale la visita. Quanto è potente l’emozione che trasmettono le espressioni dei volti scolpiti nella terracotta che guardano a Cristo, deposto dalla Croce e al centro della scena. Il dolore inciso in ogni piega del viso, la disperazione della madre che si accascia davanti al corpo del figlio, il dramma universale espresso nei tratti delle figure e trasfuso nelle vene sporgenti dalle tempie di Giuseppe di Arimatea e Nicodemo (due criptoritratti dietro cui si celano il committente Alfonso di Aragona e il padre Ferrante, oppure, come secondo alcuni, Sannazzaro e Pontano), nelle movenze dei congiunti di Gesù. L’osservazione va oltre la contemplazione distaccata. E’ veicolo per entrare dentro quella scena, per condividerne il pathos, per partecipare alla sofferenza collettiva e individuale di ognuna di quelle figure. Ancora emozionati per il Compianto di Cristo, il ritratto di un monaco con l’espressione imbronciata ci introduce ad un’altra pagina di storia dell’arte, la magnifica, ineguagliabile Sagrestia vecchia affrescata dal Vasari. Pare che questi non fosse stato poi tanto entusiasta di lavorare nel complesso e che fosse stato convinto dal suo amico, Miniato Pitti, ad accettare l’incarico di affrescare il refettorio, a condizione che ne fossero modificati l’architettura – che non consentiva di esprimere l’effetto ottico che egli intendeva realizzare – ed il rivestimento dei soffitti, per dare risalto alla luce e ai colori della sua pittura. L’una e l’altro, infatti, furono rivoluzionati dal Vasari attraverso una scansione dell’unico ambiente in tre campate ed il rivestimento integrale dei soffitti con stucco bianco su cui adagiare il tripudio di colori delle sue allegorie pittoriche.

Ebbene Vasari diede il meglio di sé a S. Anna dei Lombardi, vi si dedicò anima e corpo, di giorno e di notte. Quel volto imbronciato del monaco ritratto dal Vasari, voleva esprimere tutto il disappunto del religioso che era costretto ad aprire nel cuore della notte il convento per permettere a Vasari di accedervi a lavorare.

La Sagrestia vecchia è un viaggio che si sviluppa attraverso la religione, l’eternità e la fede, ciascuna protagonista di una campata, dove gli affreschi raffigurano in immagini iconografiche le virtù che caratterizzano ciascuno dei temi affrontati dal Vasari: la preghiera, la castità, la giustizia, lo studio, la sapienza, il silenzio.

Temi religiosi che però si innestano nella volta celeste e nella rappresentazione delle costellazioni tolemaiche, dei segni zodiacali allegoricamente dipinti negli affreschi che in ogni campata contengono rimandi all’astrologia ed all’astronomia. E dietro la rappresentazione femminile della tentazione, il particolare che stupisce: il profilo dello stesso Vasari, la sua firma.

I lati della sagrestia che, per impatto visivo, evoca la Cappella Sistina, sono scanditi dalle tarsie realizzate dal frate olivetano, Giovanni da Verona tra il 1505 ed il 1510, che rappresentano animali, paesaggi, prospettive, porte di falsi armadi al cui interno l’osservatore è invitato a curiosare.

La visita delle cappelle monumentali, dislocate ai lati dell’unica navata della Chiesa, di cui spicca in fondo l’organo a canne incorniciato dal ciclo degli affreschi di Battistello Caracciolo, offre un’antologia di scultura rinascimentale di straordinaria bellezza.

Colpiscono nella Cappella Piccolomini opera di Antonio Rossellino, la pala d’altare che raffigura la natività, con un gioco di profondità millimetriche, meno aggettanti rispetto a quelle del bassorilievo, in cui attraverso la tecnica dello stiacciato introdotta da Donatello, sono riprodotti diversi piani spaziali coesistenti. Stupendo il pavimento in stile cosmatesco in opus sectile, composto da minuscole tessere marmoree, di svariari colori e sfumature che evocano motivi di origine bizantina.

Stupenda anche la cappella Correale Mastrogiudice, dal pavimento maiolicato e la sua pala d’altare dell’Annunciazione di Benedetto da Maiano, dove in alto una delle sculture dei puttini, quello in torsione (con un braccio perduto), è stata attribuita a Michelangelo, allora appena quattordicenne.

La visita non può concludersi senza scendere nell’ipogeo, la cripta degli Abati. Un mondo sotto il pavimento della chiesa, cui si accede dalla parte retrostante l’altare maggiore. Attraverso una scala a doppia rampa, si giunge ad un ambiente ellittico completamente affrescato, il cui perimetro è scandito da nicchie dove veniva praticata la cosiddetta scolatura, prima che i corpi venissero definitivamente sepolti in una cavità molto più profonda, inaccessibile, la cui esistenza è confermata da un lucernario collocato proprio al centro dell’ambiente. Sugli scolatoi, con lo sfondo affrescato della scena del Calvario, alcune teche custodiscono i teschi, qualcuno ancora adornato da paramenti sacri, degli abati del Monastero. Pare che anche i resti di Bernardo Tanucci siano custoditi nella cripta di S. Anna dei Lombardi.

Doveroso il nostro ringraziamento a Vincenzo Radicella che ci ha invitato a scoprire l’immenso patrimonio artistico che S.Anna dei Lombardi custodisce e a Pietro Pelvi, guida che ci ha accompagnato nel percorso con un’affascinante narrazione storica, arricchita da spiegazioni più tecniche e da aneddoti e curiosità, consentendoci di osservare particolari che a volte sfuggono. Grazie alla cooperativa sociale Parteneapolis.

Scritto da:

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Marialaura D'amore

Laureata in giurisprudenza, lavora nel settore pubblico e nutre un grande amore per l’arte, la storia, le architetture, i musei e i panorami di Napoli, che fotografa nelle sue passeggiate.

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