La Porcellana di Capodimonte, una storia di eccellenza napoletana

Una delle tradizioni artigianali per le quali Napoli è conosciuta nel mondo è quella della lavorazione della porcellana.

La prima fabbrica di porcellana in Europa, unica in grado di rivaleggiare con la manifattura cinese già praticata da secoli, fu fondata da Augusto il Forte, principe di Sassonia, all’inizio del XVIII secolo, a Meissen. E’ qui che nel 1708 si scopre il segreto della purezza e della durezza dell'”oro bianco“: caolino, feldspato e quarzo. La formula, nonostante i tentativi di Augusto il Forte di presevarne la diffusione, trasferendo la produzione da Meissen alla fortezza inespugnabile di Albrechtsburg, si diffuse presto in tutta Europa. Sorsero dopo poco le manifatture storiche di Limoges, Sevres e Vienna. In Italia la prima fabbrica di porcellana a pasta dura fu quella dei Vezzi di Venezia nel 1720, fabbrica che dovette chiudere appena sette anni dopo a causa delle forti esposizioni economiche e dell’assenza di finanziamenti pubblici, diversamente da quanto avveniva in Germania e in Austria. A Napoli la nascita della fabbrica di porcellana porta la firma dei Borbone. Fu Carlo di Borbone e la moglie Amalia di Sassonia, nipote di Augusto il forte, a fondare nel 1743 la Real fabbrica di Capodimonte. Vi si dovevano produrre oggetti pregevoli, all’altezza di quelli della fabbrica tedesca di Meissen.

Furono impegnati lo scultore Giuseppe Gricci, il decoratore Giovanni Caselli e il chimico Livio Ottavio Schepers. La mancanza del caolino, roccia sedimentaria difficilmente reperibile nel territorio campano, comportò la necessità di ricercare altre materie adatte alla produzione di porcellane di qualità. La fusione di argille provenienti dalle cave del Mezzogiorno, in particolare dalla Calabria, da Fuscaldo e Parghelia, miste al feldspato, diede vita ad un materiale completamente nuovo, più morbido nella produzione, ma duro e trasparente dopo la doppia cottura. La tenerezza dell’impasto ottenuto, di tonalità calda lattiginosa, rendeva possibile la realizzazione di miniature, vere e proprie opere d’arte nel loro genere, lavorate a punta di pennello, di forma più raffinata e ricche di dettagli, sapientemente eseguite.

Alla Real fabbrica fu commissionato il salottino della regina Amalia, per il suo appartamento nella reggia di Portici, la più alta espressione dell’abilità artistica delle maestranze di Capodimonte

Quella della porcellana fu la più cara al sovrano tra le manifatture reali, tanto che si dice che Carlo, ne seguisse personalmente le fasi di lavorazione e custodisse la chiave degli ambienti dove venivano conservati i pezzi. La produzione della Real Fabbrica della Porcellana nel Parco di Capodimonte venne marchiata col “Giglio Borbonico” decorato in colore azzurro sottovernice o incusso.

Quando si trasferì in Spagna, Carlo volle portarsi dietro attrezzature, materie prime ed artigiani. Così la fabbrica di Napoli, ormai priva del sostegno economico del sovrano e delle maestranze artigiane, ridusse significativamente la sua produzione.

Con Ferdinando IV la produzione riprese slancio nella nuova sede della reggia di Portici, non solo nel segno della continuazione della manifattura dell’epoca del suo predecessore, di cui volle mantenere le eccellenti caratteristiche stilistiche e qualitative, ma anche con la sperimentazione di nuove tecniche di lavorazione come quella della porcellana biscuit, sottoposta solo alla prima cottura e di colore più delicato. Nasce una vera e propria Scuola d’Arte e vengono prodotti sontuosi servizi da tavola e prezioso vasellame, oggi conservati nel Museo di Capodimonte. La produzione ferdinandea fu contraddistinta fino al 1787 dalla marca “FRM” sormontata da una corona, poi da una “N” incoronata.

Dopo la fuga di Ferdinando da Napoli, nel periodo francese, ormai scemato l’interesse per la fabbrica delle porcellane e dirottate le risorse economiche su campagne belliche, piuttosto che sulla produzione artistica, 

Giuseppe Bonaparte cedette l’intero complesso produttivo ad una società di privati rappresentata dallo svizzero Giovanni Poulard Prad.

Restò viva a Napoli la tradizione della porcellana, portata avanti dopo l’Unità d’Italia da artisti napoletani, che nelle loro fabbriche riproducevano gli esemplari della manifattura reale, ma davano vita anche a nuovi stili, soggetti diversi, talora tratti dalla quotidianità, sperimentando anche tecniche e lavorazioni innovative, come quella “a fettuccia” dei Mollica e dei fiori a tutto tondo decorati a mano, di ispirazione barocca.

Nell’edificio che ospitava la fabbrica reale a Capodimonte, a partire dal 1961 ebbe sede l’Istituto Giovanni Caselli, oggi “Istituto Superiore ad Indirizzo Raro “Caselli”. Contestualmente alla sua istituzione, fu autorizzato a “depositare nei modi di legge e ad usare per i suoi prodotti un marchio di fabbrica che, richiamando quello delle antiche fabbriche di Capodimonte, sottolinei la continuità storica della tradizione”. Nel 1987 l’Istituto Caselli ha registrato il brevetto del Giglio Borbonico. Oggi è l’unico centro in Italia “istituzionalmente preposto alla preparazione di personale qualificato e di tecnici specializzati nel settore della ceramica e della porcellana, con la missione specifica di promuovere, studiare e tutelare la tradizione della porcellana di Capodimonte. Eccellenza partenopea universalmente riconosciuta, che viene perpetuata dalle nuove generazioni, alle quali la lavorazione della porcellana, arte rara e preziosa, con la peculiarità dei suoi tempi, dà prima di tutto un insegnamento di vita: saper aspettare.

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Marialaura D'amore

Laureata in giurisprudenza, lavora nel settore pubblico e nutre un grande amore per l’arte, la storia, le architetture, i musei e i panorami di Napoli, che fotografa nelle sue passeggiate.

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