Orologio di Sant’Eligio

Per conoscere Napoli, apprezzarne la grandezza, l’unicità, la ricchezza artistica, storica, culturale, non basta restare nei confini del centro storico, che pure spesso non si conosce a fondo. Fare una deviazione dagli itinerari più battuti, anche di poche centinaia di metri, apre gli occhi su spettacoli inaspettati: vicoli, piazze, chiese, palazzi che costituiscono un patrimonio inestimabile di storia e di arte. E per quanto il cuore di chi ama profondamente questa città soffra, a constatarne spesso la trascuratezza, a volte la carente valorizzazione, cionondimeno essi sono, anche così come si presentano, testimonianze straordinarie, emozionanti, di un passato prezioso che va custodito e preservato. Addentrarsi nei vicoletti tra piazza del Mercato, un tempo Campo del Moricino e il borgo degli Orefici, a ridosso del Corso Umberto è una passeggiata che porta a questa Napoli, non troppo conosciuta, teatro delle pagine più significative della sua storia.

In età angioina Piazza del Mercato era appunto la spianata del Moricino, un campo aperto, vicino al mare e libero da edifici, fuori le mura della città. Fu Carlo I d’Angiò a stabilire che il principale mercato pubblico, fino ad allora ubicato in piazza S.Gaetano, cuore della città antica, fosse trasferito nella zona orientale in via di formazione urbana, proprio lì dove nel 1268 aveva avuto luogo, per suo volere, l’esecuzione del giovane Corradino di Svevia.

Forse fu proprio per lavare via il sangue di cui si era macchiato con quella esecuzione, che Carlo concesse a tre cortigiani, Giovanni Dottun, Guglielmo Borgognone e Giovanni Lions di edificare qui una chiesa, quella che oggi è conosciuta come Chiesa di S. Eligio Maggiore, il protettore degli orafi, la più antica chiesa angioina di Napoli.

Insieme all’ospedale che vi fu costruito accanto, il complesso di S.Eligio ha una storia lunghissima e quanto mai interessante.Nella prima metà del XVI secolo, il viceré spagnolo Don Pedro de Toledo vi fondò il conservatorio per le vergini, dove le fanciulle erano istruite al servizio infermieristico e l’opera assistenziale, cosi come accadde per il Conservatorio dello Spirito Santo, di cui abbiamo già parlato, fu uno dei primi ad esercitare l’attività di banco pubblico.

Addossato alla Chiesa di S.Eligio, pochi metri oltre il magnifico portale gotico che ne è la via di accesso, nel Quattrocento, fu eretto un arco che collegava il campanile con un edificio adiacente.

Forse molti ne conoscono gia’ storia e leggende, giacché raccontate dalla penna di Benedetto Croce. Un impianto a due piani. Al secondo piano la finestra di una stanzetta. Si racconta che qui passassero le ultime ore di vita i condannati a morte in attesa di esecuzione. Ma quel che più affascina è l’orologio che decora entrambe le facciate dell’arco. E bisogna che ci si fermi ad ossevarlo anche pochi istanti, tanto basta per intraprendere un viaggio nel tempo, assai suggestivo, a tratti struggente.

Dal lato della Chiesa, sotto la cornice dell’orologio due sculture rappresentano un volto maschile e uno femminile. Benedetto Croce in “Storie e leggende napoletane” racconta che esse raffigurano il duca Antonello Caracciolo e la giovane vassalla Irene Malarbi, della quale, non corrisposto, egli si era perdutamente infatuato. Per indurla a “cedere” alla sua passione ne fece imprigionare il padre e, se la giovane si fosse concessa, ne avrebbe consentito la liberazione. Così fu che la ragazza cedette al ricatto. Ma una volta che il padre fu libero, cercò di ottenere giustizia raccontando il fatto ad Isabella d’Aragona. Colpita dalla vile condotta del Caracciolo ai danni della povera Irene, ne decretò la condanna a morte. A nulla gli valse implorare clemenza e perdono; la giustizia “esemplare” doveva fare il suo corso, ma non prima che Antonello Caracciolo fosse costretto a sposare la fanciulla, rendendola erede di tutti i suoi beni. In ricordo della vicenda furono scolpiti i due volti sotto l’orologio dell’arco.

Era una domenica, il 28 marzo 1943, quando divampo’ un incendio sulla nave da carico Caterina Costa. Era ormeggiata nel porto di Napoli, in procinto di partire per portare alle forze armate italiane dislocate in Tunisia materiale bellico e un ingente quantità di esplosivo, un vero e proprio arsenale.I tentativi di domare l’incendio, vuoi per l’incapacità tecniche dei responsabili militari, vuoi per il ritardo con il quale si cercarono di approntare i soccorsi, essendo risultato vano il tentativo di provocarne l’affondamento, fallirono tutti. Non fu dato allarme alla popolazione che attonita continuava ad assistere da terra ai tentativi di spegnere le fiamme. Alle 17.39 la Caterina Costa saltò in aria. Una deflagrazione violentissima, un’onda d’urto spaventosa. Pezzi di nave, rottami come schegge finirono su alcuni edifici nei pressi del ponte della Maddalena provocandone l’abbattimento. Lamiere e detriti di ferro e vetro si sparsero per chilometri. Una lamiera si conficco’ nell’orologio di S. Eligio provocando l’arresto del suo ingranaggio. E l’orologio restò fermo, all’orario della immane tragedia che provocò circa seicento morti e tremila feriti, per ben cinquanta anni.

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Marialaura D'amore

Laureata in giurisprudenza, lavora nel settore pubblico e nutre un grande amore per l’arte, la storia, le architetture, i musei e i panorami di Napoli, che fotografa nelle sue passeggiate.

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